da A Colamonico. Costellazioni di significati per una topologia del pensiero complesso. Bari, 2007
… Perché Caino?
Caino rappresenta la pecora nera dell’Umanità che si macchia di fratricidio, perché vuole imporre la sua visione di uguaglianza ad Abele. Caino non si pone di fronte alla scena della Storia, con l’occhio di chi ammiri l’inanellarsi degli eventi che nel loro incontrarsi, dicono: eccoci. Ma come colui che giudica il perché di un si o di un no, per valutare il peso storico di ogni azione e, di qui, la sua possibilità di tornaconto. Egli rappresenta quella parte della mente che si crede importante, perché sa capire le cose e, nel credersi tale, è portata ad elaborare l’esaltazione di autocompiacimento del sé che fa arroccare il pensiero intorno allo status di potere: sono bravo, merito di più, ho diritto al primo posto…
Caino, dunque, rappresenta l’anima critica, tipica dell’intellettuale e di colui che, assumendo una posizione prevalentemente razionale, lato sinistro del cervello, finisce con il considerare tale capacità ad elaborare e ad intervenire nella Storia, come una sua prerogativa esclusiva, svincolata dalla stessa realtà che sta osservando.
Caino è il lato narcisistico di noi, che ci isola dal mondo. Che ci pone su un piedistallo e ci fa guardare agli altri come ad una umanità di un dio minore. Nel suo sentirsi il migliore, Caino assume la dimensione dell’antipatico al Mondo e finisce col ricevere poca attenzione, al contrario del fratello Abele che si pone, come un contemplatore della scena del Mondo. I due fratelli incarnano le due sfere del cervello che, se lette in antitesi, producono il dualismo mente/cuore che ha determinato gli errori storici delle dicotomie tra la Scienza e l’Arte; tra la mente e il braccio con relativa scissione dell’Umanità tra chi è predisposto a pensare, quindi a comandare, e chi a fare, di conseguenza ad ubbidire. Caino, ritenendosi il migliore è portato a riconoscere meno vita in Abele, il quale pur essendo ai suoi occhi un meno, riceve le tenerezze paterne. È quel risentimento che nasce nel ricco a vedere la serenità del povero, che lui legge come un sotto-insieme di umanità. Di qui nasce, in Caino, l’elaborazione dell’odio che lo porterà ad uccidere.
Le ignominie della storia, sono il risultato di una forma mentis che non riesce a vedere negli altri una possibilità di costruzione della vita. Il non vederla porta a non rilassarsi di fronte agli eventi, poiché si ha paura di risultare inadeguati alla complessità delle dinamiche che si sentono pesare, tutte, sulle spalle.
L’angoscia dell’inadeguatezza porta a voler a tutti i costi controllare la vita, programmando e incastrando come in un puzzle tutti gli accadimenti passati e futuri. In questa mania a voler controllare il campo, si finisce con il dilatare lo stato di stress che diviene malessere. Il malessere conduce a proiettare la causa del proprio disagio non su di sé, bensì sugli altri, perché incapaci. In questo gioco, sottile, di diffidenze stratificate ci si avvita intorno al sé e piano, piano, si finisce col diventare nemici della vita, i Caino del mondo.
Abele, viceversa, rappresenta, l’anima amante della scena del mondo. Sa di essere un semplice contemplatore degli spazio-tempi che catturano il suo occhio. Non si costruisce le gabbie economico-intellettuali. Egli si lascia quasi condurre per mano dagli accadimenti che poi gli saranno fatali.
La morte di Abele è l’immagine della morte innescata ad opera dell’habitat in ciascun uomo, allorquando per essere inseriti nei livelli delle strettoie della società, si deve, continuamente, dimostrare la capacità d’integrazione, rinunciando a pezzettini d’indipendenza del sé. È quel processo che comunemente viene chiamato asservimento al potere per un posto di lavoro, per una scalata sociale. Asservimento che crea i conformismi, gli accomodamenti, i prezzi da pagare per ogni uomo e che trasformano i diritti in concessioni.
Il campo-habitat come un tiranno mette in atto una serie di mobbing-seduzioni, logica del bastone e della carota, che hanno lo scopo di sottomettere, con la rinuncia alla libertà di coscienza dell’individuo, per il riconoscimento dello status di cittadino. La morte di Abele sono le piccole morti in ognuno di noi, quando veniamo valutati se adeguati o inadeguati al proseguimento degli studi, all’avanzamento di carriera, all’ammissione in un salotto di èlite. Valutazioni che, prescindendo dal significato eco-biostorico dell’essere un finito/infinito, attribuiscono e riconoscono a noi, le quantità-qualità di pezzettini di umanità.
Le due angolazioni, mente/cuore, della mente umana e di riflesso sociale, corrispondono ad una prerogativa di cervello diviso in due emisferi, il destro predisposto all’emotività, il sinistro alla razionalità. Emisferi che si pongono naturalmente non come un processo oppositivo di antitesi; bensì come un completamento, l’uno dell’altro. …
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