di Antonia Colamonico
A Roma dall’1 al 4 dicembre 1983 venne realizzato il Convegno La Scuola Italiana verso il 2000, a cui parteciparono molti intellettuali che provarono a tracciare le linee del cambiamento storico alle porte del nuovo millennio. Ho avuto modo di leggere nel 1985 gli atti del convegno, pubblicati da La Nuova Italia e tra gli scritti, mi colpì la relazione di Ezio Tarantelli che proprio nell’85 era stato soppresso dalle Brigate Rosse.
Lo studioso con un occhio di tipo biostorico, aveva disegnato, in quelle poche pagine, la cresta storica del cambiamento dal sistema agricolo a quello industriale e poi da questo al nuovo mutamento informatico che in quel momento storico non si era delineato così chiaramente come lo è, oggi, nel 2008.
Il saggio “L’ipotesi del salto generazionale: l’eredità della crisi del ’68 e le trasformazioni produttive e del mercato del lavoro” si apriva con l’identificazione di tre “cervelli collettivi” che si erano succeduti nel corso del 1900. Tarantelli utilizzava due date per scomporre il novecento e precisamente il 1929, crollo della borsa di New York, il 1940, seconda guerra mondiale. Le date aprivano a tre cervelli collettivi, quello della generazione precedentemente alla grande depressione; quello che si trovò a gestire la depressione che favorì i fascismi di destra e di sinistra e infine la generazione nata durante e dopo la guerra.
La generazione prima della Grande Guerra fu quella che segnò il passaggio dal sistema agricolo al sistema industriale, era una generazione con scarsa istruzione e priva di competenze tecnologiche che si trovò ad affrontare il fenomeno dell’urbanizzazione e della standardizzazione del lavoro. Erano giovani che poco si adattavano al cambiamento sia per i livelli di analfabetismo e sia per i trascorsi contadini che li rendevano irrequieti ai cicli e ai turni della catena di montaggio: nel 1912 nasceva il Lingotto a Torino.
Intorno alla catena di montaggio con il relativo taylorismo, secondo lo storico, si giocò la svolta autoritaria, che vide come protagonista la generazione di mezzo tra la Grande Depressione e la guerra. Fu questa che di fatto si misurò con la divisione della forza lavoro in colletti bianchi e colletti blu e con le corrispettive gerarchie di capo reparto, capo ufficio e così via. L’interiorizzazione di un simile ordine che implicava un controllo gerarchizzato del lavoro e della stessa produzione, imponeva, quasi come una scelta obbligata, la gestione autoritaria della società e di qui i dispotismi di destra e di sinistra, che erano stati dei fenomeni di massa, riscontrabili in tutte le nicchie storiche, dalla famiglia, al sindacato, all’amministrazione pubblica, alla scuola, ecc. La generazione di mezzo fu quella che si misurò con la nascita dell’opinione pubblica che spingeva a creare le mode e gli stili condivisi. La divisione del lavoro si poté facilmente attuare essendoci un dualismo, facilmente identificabile, tra chi aveva una preparazione culturale tecnico-scientifica e chi possedeva solamente le conoscenze di base, necessarie per non essere identificato come analfabeta. La differente preparazione giustificava le differenze di ruolo/funzione, fondamentali al mantenimento delle gerarchie.
La terza generazione nata a partire dagli anni ‘40, fu quella che si trovò a beneficiare del boom economico degli anni ‘60 che si tradusse in un’aspirazione ad un accesso più ampio all’istruzione e fu proprio questa che si trovò ad affrontare la crisi del ‘68.
La contestazione giovanile nacque inizialmente come una richiesta di accesso alla cultura da parte dei figli degli operai che male si adattavano a seguire le sorti paterne, nelle fabbriche. Si può definire questo cambiamento un vero salto generazionale che portò ad un disconoscimento della società adulta che era mentalmente autoritaria e lenta a mettere in discussione i criteri e i livelli di organizzazione.
Fu il ’68 a segnare l’inizio della nuova crisi che avrebbe stravolto gli assetti politico-economici, aprendo alla democrazia. L’elemento che fece da molla di svolta fu proprio la liberalizzazione dell’accesso alle università. Ma elevando la cultura, automaticamente crollavano le divisioni tra colletti bianchi e colletti blu e si sfaldava così lo stesso sistema di fabbrica che era stato il perno intorno a cui si era costruita l’organizzazione economico-politica taylorista.
Il cambiamento d’indirizzo, l’autore, lo identificava come il mutamento della distribuzione della forza lavoro tra i tre settori: agricolo, industriale, servizi. Riprendendo uno studio americano, egli vide nella distribuzione della popolazione lavorativa, le radici del cambiamento in atto, ad esempio:
- Nel 1910 il 45% della forza lavoro Usa era impegnata nell’industria, il 30% in agricoltura e il 25 nei servizi;
- nel 1940 l’occupazione nell’industria sale al 63% contro un 15% l’agricoltura e un 22% servizi;
- nel 1960 55% industria, 8% agricoltura, 37% nei servizi;
- nel 1980 il 37% industria, il 3% agricoltura, il 60% nei servizi.
Approfondendo la sua indagine E. Tarantelli introdusse un ulteriore elemento, l’informazione che generava un dualismo tra servizi tradizionali e quelli avanzati.
- Nel 1910 il 25% del settore servizi era diviso in un 15% servizi, e un 10% informazione;
- nel 1940 il 22% era suddiviso in 10% servizi e il 12% informazione;
- nel 1960 il 37% era per un 10% servizi e un 27% informazione;
- nel 1980 il 60% era diviso in 10% servizi e il 50% informazione.
Si può cogliere facilmente dai dati che i servizi avevano conservato nel tempo una certa linearità di crescita, ma il vero picco era segnato da quella che è chiamata la società delle informazioni.
Calcolando che tra gli Usa e l’Italia c’è uno scarto temporale di circa 20 anni, quei livelli di crescita da noi si sarebbero registrati intorno al 2000; da ciò l’autore ipotizzava un nuovo salto generazionale alle soglie del nuovo millennio.
I giovani degli anni ’90 avrebbe dovuto affrontare il nuovo sorpasso, ma egli evidenziava un pericolo fisiologico alla stessa democrazia. Nel ’68 la generazione che rivendicò la leadership aveva di fronte una realtà adulta che si esprimeva e si comportava secondo canoni autoritari e quindi facili da identificare come antidemocratici; mentre la nuova generazione del 2000, si sarebbe trovata a fronteggiare una classe dirigenziale che si comportava e si esprimeva da liberale democratico, con modi dialettici apparentemente concilianti e con nessuna voglia a cedere il posso. Egli identificava tale classe genitoriale come una forma di autoritarismo mascherato e in quanto tale più subdolo e pericoloso.
- La mancanza del salto generazionale intorno al 2000, ha di fatto innescato il ritardo italiano.
Oggi, i cervelli collettivi che si trovano a gestire l’economia, la politica, le imprese, ecc. italiane sono ancora espressione del ’68 e sono legati ad una visione paradigmatica di tipo industriale, mentre la storia si è evoluta verso la società informatica e questa verso la società della conoscenza. I sessantottini che hanno rivendicato per sé il diritto all’istruzione, oggi di fatto lo negano ai loro figli, chiudendo, in nome della crisi di gestione delle università, gli accessi alle facoltà. Ad esempio a Bari l’ateneo scoppia per il numero d’iscritti, dequalificando i corsi di laurea, mercificando le risposte ai test d’ammissione, ma non si aprono altri atenei per amplificare l’offerta. Si parla di un ritorno dell’ignoranza, ma gli investimenti nella scuola sono sempre gli stessi da quaranta anni a questa parte. E, poi, i cervelli che nonostante le gabbie riescono a formarsi, trovano una sordità occupazionale. Oggi c’è la crisi del laureato che non trova un’occupazione idonea alla sua preparazione ed è costretto ad emigrare, verso Paesi più aperti e veramente democratici.
Si può parlare di democrazia bloccata con un ritorno alla feudalizzazione dell’economia e del mondo del lavoro.
Sorgono a questo punto le domande:
- La crisi della scuola italiana non è forse la scelta politica di chi non vuole dividere o meglio condividere il potere?
- I giovani non sono forse le vere vittime sacrificali della nuova tirannia pseudo-democratica?
In questo anno che si stanno festeggiando i 40 anni del 1968, necessita riflettere sulla democrazia bloccata: bloccata da chi, arrivato al potere, ha assunto a pieno titolo il potere...
La lettura di E Tarantelli, martire della democrazia, con la sua lungimiranza si presta per avviare una rilettura del ’68 e per fare autocritica in chiave democratica e, quindi biostorica.
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