La crisi italiana che ha messo in moto un processo di regressione sociale con l’impoverimento generale a partire della stessa classe media, da molti è letta come il risultato di una regressione economico-finanziaria che sta investendo la Società a livello mondiale, implementando i vuoti di spugna.
Si pensi alle nuove economie emergenti, cinese e indiana, che invadono i mercati con prodotti a bassissimo costo che creano il disfacimento della produzione nazionale o alla crisi dei mutui in USA che ha promosso lo stato di allerta di tutto il sistema finanziario o all’aumento del greggio che sta facendo salire i costi delle bollette energetiche e della benzina con ricaduta dei rincari dei prezzi, ecc.
In questa pagina vorrei provare a cambiare l’ottica di lettura e iniziare a disegnare la cresta dello stallo produttivo come il risultato di una mancanza di spirito democratico.
Quando spiego ai miei alunni la nascita degli Stati Moderni, 1600-1900, indico come fattore chiave del mutamento storico il superamento di una visione di Stato teocratico, in cui la relazione Dio-Sovrano-Suddito era posta come un principio assoluto e non soggetto a critica alcuna, con la visione dello Stato di diritto con la formula Legge-Stato-Popolo.
- Come Dio era il collante tra sovrano-suddito, così la legge lo diviene tra stato-popolo.
Dio-Legge sono i perni intorno a cui si organizzavano e si organizzano i rapporti di potere. Nel sistema antico Dio giustificava l’autorità del sovrano, che secondo le intenzioni bibliche era vista come la missione di un prescelto, in virtù di un talento o carisma che lo poneva al servizio del popolo. È importante sottolineare come nell’accezione biblica il mondo è di Dio e l’uomo non può sentirsene padrone. Ma, nel corso dei secoli, quando le famiglie monarchiche si avvilupparono intorno al concetto di dominio, si finì con l’abusare di Dio.
Si attuò una regressione politica, in quanto Dio fu messo al servizio di un casato che assunse un ruolo assolutistico. Su tale abuso di Dio, con il consenso anche delle gerarchie ecclesiali, si scatenò la rivolta borghese che iniziò a legittimare il potere non in nome di Dio, ma in quello del Popolo.
A scuola ci hanno educato a vedere tale nuova visione come la naturale conseguenza di un ribaltamento della visione escatologica della storia che tracciava l’iter dell’Umanità come una parabola che iniziava e si chiudeva con il Regno di Dio. Tale visione che raggiunge l’apice profetico nella pagine di Isaia, immaginava il tragitto della storia come un continuo miglioramento dei rapporti socio-economici che avrebbero finito col produrre la giustizia universale, letta come una Società di pace.
Con il passaggio alla visione secolare, Dio è stato estromesso dalle trame della storia e l’uomo si è posto quale artefice del suo destino. Gli stessi umanisti-rinascimentali compresero che l’essere l’emittente/destinatario della storia implicava per l’uomo dei rischi, cioè il pericolo dell’auto-esaltazione del sé. È il caso del bambino che si compiace di essere bravo e finisce per divenire arrogante, poiché bravo. Non è una coincidenza che nell’iconografia di tale periodo un posto importante è riservato alle rappresentazioni sacre ed è troppo semplicistico definire tale realtà, legata alla committenza ecclesiale. Si pensi alla grandezza della forza espressiva della Cappella Sistina.
Estromesso Dio dalla storia, si ebbe il passaggio verso l’esaltazione del sé e nacquero gli assolutismi degli Asburgo, dei Borboni, dei Tudor, ecc. di qui il bisogno degli empiristi ed illuministi di porre un argine alle ingiustizie degli Stati Assoluti, rispolverando l’antico concetto di legge.
Nasceva, così, la definizione di Stato di diritto che pone a base dei legami storici la carta costituzionale che le due parti, stato-popolo, sono tenuti a sottoscrivere.
- Perché nuovamente il ricorso alla legge, come mezzo di negoziazione, come lo era stato con Mose nel deserto?
- E non è un caso che il Mose sia uno dei capolavori di Michelangelo?
La risposta è semplice, poiché senza leggi chiare, giuste, accettate e fatte rispettare, gli egoismi privati con relativi disastri storici prendono piede.
La legge diviene nuovamente il cardine intorno a cui far ruotare la società, se la legge è giusta, si crea una società di giustizia, se è ipocrita una società di facciata, ambigua, schizoide, poiché ciò che è valido per te, non lo è per me.
- Quale è la situazione oggi in Italia rispetto alla legge?
Esiste anche in ciò una dissociazione mentale, poiché ogni legge si è frantumata, come l’io di Moscarda, in una moltitudine di commi e codicilli che rendono privata la giustizia che è nella sua stessa definizione un valore universale.
Ecco perché la crisi italiana è essenzialmente una crisi giuridica, poiché l’aver asservito la legge alle lobby economiche e politiche ha significato svuotare di significato lo Stato. Importante è comprendere che il valore dello Stato come Istituto del Governamento di un Paese, risiede nell’essere al servizio dei cittadini, se ciò non è, lo stato è un fantoccio nella mani di chi nuove i fili per l’accaparramento del patrimonio di Dio. Nasce così il senso di abbandono con cui la gente, i giovani, le famiglie, gli impiegati, gli operai, i pensionati, … leggono la realtà storica italiana. Nascono così la corruzione; la vendita delle coscienze, a cui prima si è fatto credere che non esiste la coscienza; l’alienazione mentale ed etica; lo sballo e l’edonismo per tenere a bada i sensi di colpa.
Quando spiego ai miei alunni come avviene la compravendita delle coscienze che creano le ingiustizie storiche, faccio un esempio ricavato dalla teoria dei giochi: se ho una torta e la mangio da solo chi mi osserverà mi definirà ingordo, ma se ne conservo una bella fetta per me e poi sbriciolerò la rimanete parte dandone un pezzettino a tutti, tutti saranno felici, con un minimo di spesa per me.
Se si sostituisce la torta con le mazzette, il gioco è chiaro, per cui la crisi giuridica passa per la mercificazione della dignità della vita: è il peccato di Giuda che si diede un valore di 30 denari. I corruttori sono soliti affermare che tutti hanno un prezzo e chi non ce l’ha, resta fuori dal gioco. Si pensi alla solitudine e al sacrificio di un Falcone, di un Borsellino, di un Dalla Chiesa.
- Restare fuori dal gioco è una scelta di civiltà, poiché solo così la giustizia può prendere piede.
Da quanto sin qui detto con una lettura a occhio biostorico, emergono due spazi di riflessione storica:
- Non c’è sostanziale differenza tra quanto affermato nei testi sacri e quanto sostenuto dagli intellettuali dall’empirismo in poi.
- La crisi italiana è essenzialmente giuridica e morale.
Secondo la visione escatologica, Dio sceglie l’eletto per le sue qualità morali e amministrative che lo rendono un soggetto adatto ad organizzare la struttura politico-sociale, a far rispettare la legge, a porre la giustizia a base del vivere civile, a farsi servo dei deboli e dei poveri.
Secondo quella secolaresi è di fatto confermato quanto sostenuto dai profeti biblici, poiché solo ponendo la legge a base dei rapporti, si possono superare i particolarismi che piegano la legge ai tornaconti privati. La legge si pone nella visione moderna come la garanzia della giustizia sociale. Ma che cosa di fatto si è avviato negli Stati moderni, come Dio fu piegato ai casati, così la legge è stata confezionata sui bisogni di potere e ricchezza delle minoranze economiche che avevano fatto del mondo una proprietà privata. Si pensi alle ambiguità delle politiche economiche che di fatto hanno creato uno scollamento tra la legge come formula giuridica e la sua applicazione come procedura che fa di tale legge il diritto del cittadino.
Da un lato stanno i codici, visti come valori assoluti che segnano il grado di civiltà di una società; dall’altro gli iter applicativi che si frantumano in rigagnoli di particolarismi, da divenire finzione sociale.
Oggi la crisi economica è prima di tutto il risultato di una cattiva gestione dello stato con cattiva gestione delle coscienze, poiché le clientele economico-produttive hanno innescato una molteplicità di ingiustizie con il consenso dei più. Si pensi allo sfruttamento dei giovani che restano precari a vita, in primo luogo nella scuola o all’abolizione della meritocrazia nelle assunzioni che fu voluta dai partiti della Prima Repubblica, per creare le clientele elettorali, di fatto mai abolite.
- Credo che se si vuole uscire da tale fase di stallo sia questa la strada da imboccare e togliersi la maschera dell’ipocrisia etica e sociale.
Non si può chiedere ad un giovane di vivere nella precarietà a vita, senza dirgli che ciò lo vogliono gli stessi imprenditori che non hanno male digerito lo Statuto dei Lavoratori. Non si può non rinfacciare agli imprenditori che la crisi nasce perché non si è creato potere d’acquisto con una valida politica salariale, asfissiando di fatto il mercato interno. E poi se l’aumento del petrolio fa da barriera al mercato estero, si comprende bene come l’implosione storica si innesci.
Tale processo di regressione è solo la punta più vistosa di una forte involuzione democratica che ha reso fantoccio lo stato italiano; necessita togliersi la maschera del perbenismo direbbe Pirandello, e iniziare veramente ad operare al servizio del cittadino.
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